Se tu fossi stato qui

Il Vangelo di questa domenica ci riporta le parole di Maria e Marta sorelle di Lazzaro che sono un rimprovero a Gesù. Ma anche i farisei  “ma colui che ha dato la vista al cieco non poteva far si che il suo amico non morisse?”. Quante volte anche noi facciamo questa domanda al Signore. Quante volte questa domanda diventa obiezione per la fede, o manifesta un modo di pensare Dio come un ’tappabuchi’, uno che debba risolvere i nostri guai.

Giovannino Guareschi, nel libro diario clandestino scritto mentre era in prigionia in un lager nazista, scrive:

Completa è la mia fiducia nella provvidenza che, per essere veramente tale, non deve essere vincolata da scadenze. Mai preoccuparsi del disagio di oggi, ma aver sempre l’occhio fisso nel bene finale che verrà quando sarà giusto che venga. I giorni della sofferenza non sono giorni persi; nessun istante è perso, è inutile, del tempo che Dio ci concede. Altrimenti non ce lo concederebbe.

Frase molto più corposa di slogan come ‘andrà tutto bene’ oppure ‘ce la faremo’. Slogan che vanno bene per i più piccoli ma per noi, che ci diciamo adulti?

Per noi vale la domanda stringente: perché dovremmo farcela?, e che cosa rimarrà di questa esperienza? Ho trovato una poesia di Mariangela Gualtieri dal titolo nove marzo duemilaventi, che dice:

questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare
lo sapevamo, lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora
farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare

Viviamo un tempo di sospensione, un tempo rallentato. Le certezze della modernità vacillano, ritorna il senso di fragilità delle società antiche. Ritorna la possibilità reale di comprendere cosa sia per davvero la quaresima. Sempre Gualtieri, stessa poesia:

se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
ad equilibrare ogni specie.
tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo

Marta ed anche Maria non sanno ancora cosa sia l’amore di Gesù. Devono  lasciare, uscire da Betania il luogo del dolore e del pianto senza speranza. Devono rendersi conto che il Signore ha già vinto con la sua presenza la morte perché ha vinto il male radicale dell’uomo: la sua schiavitù dal peccato. Bisogna credere in Lui. La salute fisica è un bene prezioso, da cercare con ogni mezzo ma più ancora a noi discepoli ci interessa non perdere l’anima, la salute spirituale. Perche lo sappiamo in un modo o in un altro, oggi o domani morir si deve e dunque da che cosa siamo sostenuti: ‘non siamo noi che abbiamo fatto il cielo’