TOCCA A NOI TUTTI INSIEME

Come ogni anno in occasione della celebrazione di S.Ambrogio, patrono della città il Vescovo fa un omelia, consegna un messaggio ai rappresentanti delle istiuzioni civili. Ed anche quest’anno non ha voluto far mancare la sua parola: “Tocca a noi, tutti insieme”. Riporto qualche stralcio che continuerà anche la settimana prossima.

«Mi sembra che oggi sia diffuso un atteggiamento più incline alla rinuncia che alla speranza. Ho l’impressione che, insieme alla prudenza, alla doverosa attenzione a evitare pericoli per sé e per gli altri e danni al bene comune, ci siano anche segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di fatti di cronaca, di rivelazioni scandalose, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi. Proprio questi sintomi inducono a formulare una diagnosi definibile come “emergenza spirituale”. Con ciò si intende lo smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale e permette così ai diversi frammenti di imporsi e dominare la scienza. Ne deriva la condizione di aridità degli animi che sono come assediati dalle emozioni, dalle apprensioni, dalle notizie della pandemia. Non riescono a pensare ad altro, non possono parlare d’altro. Il resto del mondo e dei temi decisivi per la vita delle persone, delle comunità, del pianeta è emarginato, ha perso interesse».

«Vorrei riconoscermi nel popolo delle donne e degli uomini di buona volontà, di quelli che sono rimasti al loro posto, che hanno sentito in questo momento la responsabilità di far fronte comune, di moltiplicare l’impegno. Trovo pertanto giusto fare l’elogio di quelli che rimangono al loro posto: grazie a loro la città funziona anche sotto la pressione della pandemia. Rimangono dove sono, come una scelta ovvia; affrontano fatiche più logoranti del solito, come una conseguenza naturale della loro responsabilità. Rimangono al loro posto e fanno andare avanti il mondo: gli ospedali funzionano, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici funzionano. Dietro ogni cosa che funziona c’è il popolo, che nessuno può conteggiare, di coloro che rimangono al proprio posto». «Non pretendono di fare notizia, non cercano occasioni per esibirsi in pubblico, non si aspettano riconoscimenti: stanno al proprio posto. Sono infastiditi dalle chiacchiere, non riescono a capire come ci sia gente che ha tanto tempo per discutere, litigare, ripetere banalità. Rimangono dove sono e perciò la società continua a funzionare. Nei disagi e nelle complicazioni, con attenzione e prudenza, restano lì».                                                                                                    

«Ma i mesi della pandemia sono stati e sono una dura lezione per la gente e hanno decretato il fallimento dell’“io” e dell’individualismo. A ragione papa Francesco ha ricordato che siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo insieme (27 marzo 2020); il tempo presente ci sta facendo imparare che siamo tutti necessari gli uni agli altri, anche se siamo fragili e vulnerabili. Si deve anche dire che nei mesi della pandemia è risultata evidente la parzialità di quelle analisi che conducevano alla tirannide universale dell’“io”. La vita ha potuto continuare perché la solidarietà si è rivelata più normale e abituale dell’egoismo, il senso del dovere si è rivelato più convincente del capriccio, la compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza, Dio si è rivelato più vero dell’“io”».  «Per dare concretezza alle buone intenzioni è necessario procedere per un cammino condiviso, riconoscere un fondamento comune, in altre parole avere una “visione”. Papa Francesco ce lo ha richiamato con incisiva chiarezza nella sua ultima enciclica Fratelli tutti». „