Traccia invernale Secondo Giorno

Vendetta, Giustizia e Perdono

Nel periodo antico della civilizzazione umana la vendetta era considerata giustizia in quanto consentiva di ristabilire quell’equilibrio sociale che il gesto sbagliato aveva rotto, e garantiva perciò la stabilità del gruppo.
Tuttavia la vendetta, che era sempre esercitata dai familiari della vittime, alla lunga non garantiva l’equilibrio e la stabilità, perché introduceva delle catene di odio tra le famiglie delle vittime e quelle dei colpevoli. Per questo motivo nell’evoluzione sociale ad un certo punto l’esercizio della vendetta fu preso dalla comunità e sottratto alle vittime e ai loro familiari. La vendetta esercitata dalla comunità rappresentò un’importante passo nell’evoluzione storica della giustizia, ma non quello definitivo.
Il perdonare rappresenta la tappa finale di questo cammino storico della giustizia in cui la vendetta viene donata e progressivamente trasformata da atto di ira distruttrice in atto d’amore.
Questa trasformazione per non divenire un’utopia irrealizzata e irrealizzabile o, peggio, un perdonismo che non rende giustizia alle vittime, ma anzi che le umilia, richiede la creazione di un ambiente in cui possa manifestarsi come vera giustizia. Questo ambiente è quello di una giustizia che stimola e aiuta il colpevole ad assumere la responsabilità del proprio gesto pentendosi e offrendo la propria espiazione come forma di ristabilimento dell’equilibrio turbato.
Oltre a questo alla vittima, o ai suoi familiari, deve essere offerta una condivisione solidale del dolore che le consenta di elaborarlo e di scoprire che esso può trasformarsi in vita solo attraverso un gesto d’amore: il perdono, non quello interiore, mio personale, ma quello donato, che può portare alla riconciliazione.
Senza la presenza di questo ambiente sociale tessuto dalla giustizia con i fili dell’assunzione di responsabilità, del pentimento, dell’espiazione e della richiesta di perdono da parte del colpevole, e con i fili dell’elaborazione della sofferenza e del lutto nella gratuità di un gesto d’amore da parte della vittima, reso autentico dalla condivisone solidale della comunità, il perdono non può essere considerato un atto di giustizia.
Non può esserlo, perché il perdono dato senza assunzione di responsabilità, pentimento, o perlomeno espiazione, da parte del colpevole, senza la condivisione del dolore della vittima da parte della comunità e l’elaborazione del dolore o della perdita da parte della vittima, o dei suoi familiari, rischia di non essere vero, perché non reale, e di lasciare profonde tracce di rancore e di odio nella comunità e nel cuore delle vittime.
Ora è vero che Gesù ci ha chiesto di perdonare agli altri come il padre celeste ci perdona, tuttavia ha lasciato a noi la ricerca delle vie attraverso cui il perdono può manifestarsi nella sua piena autenticità e divenire un atto supremo di giustizia.
Educare i giovani al perdono non significa abilitarli a dire con troppa facilità: «ti perdono»; senza la fatica di costruire intorno a questo gesto le condizioni perché esso possa essere vissuto dalla comunità come l’ingresso in un livello più alto di giustizia e da chi perdona come un gesto d’amore liberatorio e non come un gesto di conformismo sociale o, peggio, di indifferenza verso il colpevole.
È solo a queste condizioni che il colpevole può iniziare il cammino verso la riconquista di quella umanità da cui l’errore lo ha separato.
Perdonare non è un gesto facile, sempre liberatorio, perché esso è un gesto autentico solo se è il risultato di un cammino faticoso e doloroso di costruzione di una realtà umana più evoluta, illuminata dal segno dell’amore di Gesù che rende possibile il cammino verso la salvezza della comunità, a cui contribuiscono le vittime e i colpevoli.

È giusto perdonare chi fa del male?

Leggi questo articolo di don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano e prova a rispondere alla domanda finale.

Suo figlio è in un carcere. Anni fa si macchiò di un orribile omicidio. Lei, la mamma, non l’ha mai abbandonato. Non conosco la donna che mi telefona e mi racconta la sua storia. Ha bisogno di parlare, di sfogarsi, di trovare un pizzico di conforto. La ringrazio. Davvero. Ciò che mi ha donato non è paragonabile a ciò che da me ha potuto ricevere. Una mamma addolorata oltre ogni immaginazione. Un mare di lacrime. Lacerata tra la sete di verità, di giustizia e il suo amore di mamma. Non tenta nemmeno per un attimo di giustificare il figlio. Per i genitori della vittima ha solo parole di comprensione, di affetto, di pietà. “Hanno ragione, padre, hanno solo ragione. Io mio figlio in carcere posso ancora vederlo, loro non potranno mai più riabbracciare il loro. Hanno ragione a pretendere per il condannato pene più severe. Ho chiesto diverse volte di poterli incontrare, per invocare perdono, per gettarmi ai loro piedi, per piangere insieme a loro. Non se la sentono, hanno ragione. Io però sto morendo. Sono mamma anch’io…”. Una storia triste. Gli anni di carcere per chi ha tolto la vita a un essere umano sono e saranno sempre pochi; la famiglia della vittima mai potrà essere adeguatamente risarcita. Purtroppo, indietro non si torna. Puoi solo pentirti, roderti dentro, tentare di rimediare in qualche modo, altro non puoi fare. “Non uccidere” è il comandamento antico. Non uccidere, ma ama, dona, servi è il comandamento nuovo. In genere, da parte della società, per la famiglia della vittima, giustamente, scatta una solidarietà spontanea; ma anche l’assassino ha una mamma, un papà, dei fratelli, dei figli. Persone innocenti, coinvolte, senza volerlo, senza responsabilità in una storia che anche a loro cambierà la vita. La signora che mi ha telefonato è sull’orlo della disperazione. Una donna di fede. Prega. Sente il peso perfino del desiderio – legittimo, umano, materno – di vedere accorciati gli anni di detenzione del figlio. Lo avverte come un peccato. “Non è giusto, padre, lo so… ma io sono sua mamma… che deve fare una mamma?”

Cosa può fare una persona in questa situazione dilaniata tra il senso di giustizia e il senso di misericordia? Se tu fossi in don Patriciello, cosa le diresti?

Se tu fossi la famiglia del ragazzo ucciso, immaginando che il ragazzino magari non si sia pentito pentito, anzi ci abbia pure fatto su il testo di una canzone trap, tu cosa faresti, come ti muoveresti? Chiederesti giustizia? Penseresti al perdono?

Il perdono è la scelta che io compio nel mio cuore, riguarda me. Quali sono le tappe di questo cammino. Troviamole insieme

A quali condizioni posso portare il perdono fuori dal cuore verso la persona che mi ha fatto del male?

La riconciliazione è quello che accade nella relazione: individua quali sono le tappe e le condizioni necessarie perché ci sia riconciliazione.

Messa

Benedicimi padre

Lettura del libro della Genesi

Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo. Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.

Parola di Dio

Salmo

Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore;
nella tua misericordia cancella il mio errore.
Lavami da ogni mia colpa,
purificami dal mio peccato.
Sono colpevole e lo riconosco,
il mio peccato è sempre davanti a me.

Contro te, e te solo, ho peccato;
ho agito contro la tua volontà.
Quando condanni, tu sei giusto,
le tue sentenze sono limpide.
Fin dalla nascita sono nella colpa,
peccatore mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi trovare dentro di me verità,
nel profondo del cuore mi insegni la sapienza.

Purificami dal peccato e sarò puro,
lavami e sarò più bianco della neve.
Fa’ che io ritrovi la gioia della festa,
si rallegri quest’uomo che hai schiacciato.
Togli lo sguardo dai miei peccati,
cancella ogni mia colpa.
Crea in me, o Dio, un cuore puro;
dammi uno spirito rinnovato e saldo.

Vangelo secondo Luca

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».

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